di Alex Corlazzoli (da “Il Fatto – Scuola”, 1 aprile 2014)
“Io sapevo di avere davanti il mio maestro e il fatto che fosse o meno grande, non mi riguardava. Era il maestro e questo mi bastava. Sapevo qualcosa della sua vita perché ce ne parlava in classe, ma come qualcuno che ha un’esperienza personale straordinaria e non come qualcuno che ha fatto cose straordinarie. Il modo con cui ce ne raccontava era il più naturale possibile e quindi quello che aveva fatto, era naturale e poteva essere fatto da chiunque, però l’aveva fatto lui il maestro ed era per questo straordinario”
ㅤ
A raccontarmi del maestro Alberto Manzi è Donata (Nicoletti), una sua ex alunna. Sono passati decenni ma quell’incontro alla scuola elementare è rimasto indelebile, testimonianza dell’importanza che ha un insegnante nella vita di un individuo. Il maestro Alberto ha lasciato un segno indelebile nell’esistenza di Donata. Nella fiction trasmessa dalla Rai nelle scorse settimane, lei è la bambina ricciolina che fatica a camminare. Oggi vive in Olanda e fa la maestra.
Qual era il suo rapporto con il maestro?
Il mio rapporto con lui era speciale. Mi ha insegnato a vivere, a combattere, a dare sempre una possibilità all’altro ma anche a non mollare mai prima del tempo. Io, come avrà capito, sono una nana e quando ho iniziato ad andare a scuola ero alta poco meno di 90 cm… il fatto che fossi così bassa mi ha aiutato a vedere l’altezza del maestro e a farla mia. Il maestro non mi ha fatto sconti, non mi ha mai commiserato, non mi ha mai impedito di fare qualcosa o escluso da qualcosa, non mi ha mai fatto vivere una vita a mezz’altezza. L’ho odiato, l’ho amato, gli ho mancato di rispetto e l’ho rispettato… sono stata libera. Ho imparato che la libertà è mettersi sempre in discussione e non fare quello che ci passa per la testa. È stato la salvezza dei miei genitori, si sono aiutati nell’educarmi, nell’aiutarmi, nel combattere le loro paure nei miei confronti e a considerarmi normale.
Lei è una di quelle alunne che ricevette la pagella con il timbro “Fa quel che può, quel che non può non fa”… che significato ebbe per voi quel “voto” in pagella!? In questo modo Manzi non danneggiò un’educazione basata sul merito?
Quella pagella? Il mio orgoglio, il mio vanto. Mi si diceva che ero bravissima e che avevo raggiunto il massimo delle mie possibilità e capacità e che quell’anno ero stata la migliore insieme ai miei compagni. Uguali, tutti uguali. Capisce cosa può voler dire per una bambina nata diversa? Il massimo del risultato.
Come insegnava a leggere e scrivere Manzi?
Il modo con cui ci faceva lavorare e imparare era tenere sempre accesa la testa, mai riposarsi nelle proprie conoscenze, mai pensare di aver trovato la soluzione giusta perché un momento dopo tutto poteva cambiare e ribaltarsi e uno rischiava di restarne escluso. Quella era la nostra paura: restare esclusi da un gioco che non finiva più, da una realtà che era finzione, ma era estremamente dura e vera. Si rideva tutti insieme di tutti e non qualcuno di qualcun’altro. Il bullismo lo subivamo noi dalle altre classi perché eravamo considerati quelli strani. Noi? Strani rispetto a cosa? Al fatto che non sapevamo dove fosse Bologna, o quante province avesse il Lazio? Ma sapevamo com’era fatto un vulcano perché eravamo andati a vederlo o cos’era un campo di concentramento perché ci eravamo entrati. A noi interessava questo, conoscere la vita, non sentircela raccontare. Nessuno di noi è diventato chissà chi, ma ho ognuno di noi è diventato speciale per sé stesso, per gli altri e per il Maestro.
Perché se lo ricorda ancora così bene il maestro Alberto?
Sono cristiana e penso che Lui sia stato un dono per la mia vita. Con Lui ho imparato ad aprire gli occhi verso un mondo non sempre cattivo ed ostile, ma neanche sempre buono ed amico. Ho imparato che la vita è vita, alti, bassi, intelligenti o stupidi, belli o brutti. E ora cerco d’insegnarlo ai miei allievi… la vita è vita e il maestro è maestro.